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mercoledì 22 settembre 2010

Dorothy Mills


Anno: 2008
Regia: Agnes Merlet
Interpreti: Carice van Houte, Jenn Murray

Dorothy, adolescente baby-sitter, è incolpata di aver attentato alla vita del neonato affidatole, ma sembra non ricordare nulla; la psichiatra incaricata di seguire il suo caso si troverà di fronte a qualcosa di possibilmente più inquietante di una "semplice" personalità multipla...
Tema e trama per nulla originali per questa produzione franco-irlandese: il classico gioco sospeso fra il thriller psicologico ed il soprannaturale inspiegabile; tuttavia il "mistero" è costruito piuttosto bene ed il ritmo si rivela "lento al punto giusto".
I punti forti della pellicola sono sicuramente una fotografia fredda e tetra quanto basta, la quale contribuisce a creare un'atmosfera fortemente inospitale (la storia si svolge in una piccola comunità insulare irlandese), e soprattutto le ottime interpretazioni delle due attrici protagoniste, in particolare quella della giovane Jenn Murray (Dorothy), veramente sorprendente.
Per il resto un prodotto in definitiva sufficiente e mai noioso, anche se ben lontano dal creare i grandi picchi di tensione che il trailer qui sotto sembra promettere...

p.s.: il film è per ora reperibile solo in lingua originale (un gustoso irlandese) sottotitolato.

Voto:








venerdì 17 settembre 2010

Pelham 1-2-3

Anno: 2009
Regia: Tony Scott
Interpreti: John Travolta, Denzel Washington

John Travolta è il cattivo: tiene in scacco la città di New York prendendo in ostaggio, insieme ad un manipolo di ex-galeotti come lui, un vagone della metropolitana. Denzel Washington è il buono: pezzo grosso dei trasporti pubblici newyorkesi che, sotto inchiesta per corruzione e momentaneamente declassato allo smistamento convogli, si troverà per caso in comunicazione radio con l'attentatore, nel ruolo ormai cinematograficamente più che "approfondito" di negoziatore.
Un classico action-movie, remake di una pellicola degli anni '70, che ha nel ritmo e nella spettacolarità delle scene d'azione i suoi principali, se non unici, punti di forza. Il resto rimane in piedi grazie alla senza dubbio capace regia "d'azione" del fratello d'arte (sì sì, esattamente quello Scott a cui state pensando) ed alla discreta interpretazione dei due pezzi da novanta del cast.
Non credo sia il caso di soffermarsi troppo sulla scarsa credibilità di alcune scene, su evidenti lacune nella gestione di tematiche secondarie sottese (per esempio quella del buono che non è proprio eroe senza macchia), e su alcuni evidenti buchi nella sceneggiatura [spoiler]: se volessi semplicemente speculare in borsa grazie al crollo di titoli causato da un attentato, magari pagherei delle persone per compierlo, mica rischierei la pelle in prima persona, e per di più in maniera del tutto anonima, giusto?!? [spoiler end].
In generale si ha quel che ci si aspetta da un film del genere, anche se siamo ben lontani dal livello dei cult d'azione sfornati a cavallo degli anni '90 (trilogia di Die Hard, per fare un esempio).
Se non altro perché le basette di John Travolta hanno sempre il loro perché, questo Pelham 1-2-3 è promosso per il rotto della cuffia...a patto che prima di accenderlo siate disposti a spegnere il cervello.

Voto:



domenica 12 settembre 2010

La parola ai giurati


Anno: 1997
Regia: William Friedkin
Interpreti: Jack Lemmon

Una volta tanto ho scelto ciò che mi ha offerto la tv, ed è stato questo "Twelve Angry Men", film già visto anni or sono e che ha solleticato nuovamente il mio interesse.
C'è da dire che la presente recensione parte già zoppa, avendo come oggetto un film per la tv che in realtà è un remake dell'omonimo girato nel 1957 da Sidney Lumet, interpretato da Henry Fonda, pluripremiato ed osannato con voti altissimi sull'Internet Movie Database: dato che il punto forte dell'opera è sicuramente la sceneggiatura e la sua originalità, direi che prima o poi un'occhiatina all'originale andrà data, anche se questa versione di Friedkin ("L'esorcista", "French Connection", il recensito "Bug"), con Jack Lemmon tra i protagonisti, merita sicuramente rispetto.
Il film è ambientato interamente in una stanza, dove dodici giurati si riuniscono per decidere il verdetto di un processo per omicidio di primo grado. Le iniziali convinzioni di undici di loro verranno progressivamente messe in dubbio ed intaccate dall'unico non-colpevolista (più che innocentista), fino ad insinuare il "ragionevole dubbio"...
Come detto, un'opera coraggiosa che sfrutta al minimo le infinite possibilità artistiche ed espressive offerte dalla settima arte, concentrandosi soltanto su dialoghi (molto ben scritti), interpretazione (buona per la maggior parte degli attori) e giochi minimali, ma sicuramente capaci, di inquadrature.
Interessante esperimento formale, ammesso che non si soffra di claustrofobia cinematografica e si tolleri la dialettica fine a se stessa!

Voto:


venerdì 10 settembre 2010

Shelter

Anno: 2010
Regia: Mans Marlind
Interpreti: Julianne Moore, Jonathan Rhys Meyers

Julianne Moore è una psichiatra forense alle prese con un caso molto particolare, il quale non solo metterà in crisi le sue certezze di donna di scienza, ma che finirà per privarla di gran parte di quello che ha e lasciarle la fede come unico appiglio ed ancora di salvezza.
Film sicuramente ben girato ed altrettanto ben interpretato questo "Shelter" (da non confondersi con l'omonima pellicola del 2007 di Jonah Markowitz), per ora reperibile soltanto in lingua originale. Regia, musiche e fotografia, perfettamente in linea con il genere thriller-para-psicologico, si fondono ottimamente in un apprezzabile crescendo di tensione e mistero per almeno un'ora di pellicola (la seconda parte del film, da questo punto di vista, delude ed annoia un po'). La trama è sufficientemente originale, anche se la parziale imprevedibilità del suo dipanarsi è schiava di una sorta di tira-molla fra generi che potrebbe un po' confondere lo spettatore e soprattutto irritarlo: una volta convinti di trovarvi di fronte ad un legal-thriller ben confezionato, finirete immersi in un horror a tutti gli effetti, solo decollato un po' in ritardo...apprezzerete o disprezzerete a seconda dei vostri gusti ed aspettative.
In definitiva un prodotto confezionato sufficientemente bene e blandamente consigliabile per gli amanti del genere...senza lode né infamia.

Voto:





sabato 4 settembre 2010

Manolete

Anno: 2007
Regia: Menno Meyjes
Interpreti: Adrien Brody, Penelope Cruz

Questa trasposizione cinematografica di un pezzetto della vita di Manuel Rodrìguez Sànchez, uno dei più grandi toreri di Spagna, seppur bistrattata da gran parte dei critici e vista in Italia praticamente da quattro gatti, a me è piaciuta.
Non si tratta di voler fare gli alternativi a tutti i costi: è vero che a livello biografico "Manolete" risulta per certi versi dissacrante rispetto all'immagine di colui che in Spagna era ed è considerato un semidio...dissacrante nonché riduttivo: come detto, l'opera si concentra solo sugli ultimi mesi del torero, quelli di massima vulnerabilità e timore, legati alla sua storia d'amore e tormento con l'aspirante attrice Lupe Sina; se ne ignora soprattutto l'educazione e l'ascesa in un momento storico delicato (e solo abbozzato) come quello franchista, insieme a molti altri elementi "di contesto" effettivamente trascurati. E' doveroso però sottolineare come mai, nel corso della pellicola, sembrino esserci pretese prettamente biografiche da parte dell'autore e che molti dettagli, tra cui alcuni iniziali, devono essere palesemente romanzati: in questo senso l'opera è onesta nelle sue intenzioni, e come tale deve essere giudicata.
Tema di fondo della pellicola è il cambiamento interiore del protagonista nel passaggio cruciale tra il nulla ed il qualcosa da perdere, da cui la difficile convivenza tra il Semidio nell'arena e l'Uomo nella vita di tutti i giorni, e soprattutto nell'amore.
Adrien Brody è sicuramente all'altezza del ruolo, facilitato da una somiglianza fisica e di espressioni veramente sorprendente con l'originale torero triste. Penelope Cruz vive ormai di quello slancio almodòvariano che la rende capace, quasi per inerzia, di bucare lo schermo e di riuscire sempre, in questo tipo di interpretazione, ad affascinare (almeno il sottoscritto). A coadiuvare i protagonisti c'è una regia molto curata nei dettagli, che forse si lascia un po' troppo prendere la mano nel finale, scherzando eccessivamente con il fuoco del melodramma.
Ad ogni modo, e se non altro per avermi per un attimo quasi commosso, "Manolete" è promosso, in barba alle stroncature ed ai ridicoli 250.000 euro incassati in Italia.

Voto:







mercoledì 1 settembre 2010

After.Life

Anno: 2009
Regia: Agnieszka Wojtovicz-Vosloo
Interpreti: Liam Neeson, Cristina Ricci

Interessante sorpresa questo "After.Life", film non ancora uscito in Italia e reperibile in inglese sottotitolato.
Trattasi di un thriller sospeso a metà fra il soprannaturale e lo psicologico: "sospeso" in quanto giocato interamente sull'inquietante interrogativo riguardante la morte (vera o presunta?) della protagonista...così, a seconda dei momenti, quella interpretata da Cristina Ricci appare come un'anima tormentata incapace di accettare il passaggio dalla vita alla morte che il misericordioso beccamorti Liam Neeson ha il compito di "traghettare" nell'aldilà, oppure come vittima, viva e vegeta, dello stesso becchino, che in questo secondo caso vestirebbe i panni dello psicopatico serial-killer. Lascio allo spettatore il compito di trovare la sua risposta, limitandomi ad osservare quanto l'interrogativo sia stato assolutamente ben costruito.
L'esordiente regista polacca dal nome impronunciabile (mi ricorda un po' una gag di Aldo Giovanni e Giacomo...), mostra di sapere il fatto suo (quantomeno tecnicamente), curando ottimamente i particolari e creando i giusti picchi di tensione, in ogni momento aiutata dall'ottima interpretazione dell'ormai consumato attore irlandese e di una Cristina Ricci comunque discreta -questo a prescindere dal fatto che reciti la quasi totalità della parte senza vestiti.
Nel complesso, pur non trattandosi di un film d'autore, After.Life rimane un esordio interessante, che si gioca bene la carta di uno screenplay ambiguo e coinvolgente al punto giusto.
Non ho reperito notizie precise sull'uscita in Italia, per ora allego il trailer in lingua originale.

Voto:








venerdì 27 agosto 2010

Pandorum


Anno: 2009
Regia: Chrisitan Alvart
Interpreti: Dennis Quaid, Ben Foster

La noia nei pomeriggi d'agosto fa brutti scherzi: come è successo al sottoscritto, si potrebbe finire per cedere a trailer accattivanti, dando fiducia a recensioni che troppo facilmente scomodano paragoni del tutto fuori luogo.
Evitare. Pandorum è un film semplicemente brutto, sotto tutti i punti di vista.
Una delle poche storie che, pur cominciando col trucchetto del mistero assoluto e del personaggio che si sveglia senza ricordare nulla, riesce ad annoiare fin da subito; il progressivo dipanarsi dell'intreccio, analogamente, è sempre lontano dal risultare avvincente.
I personaggi sono a loro volta piatti più che mai: si sente addirittura la mancanza di quella spacconeria che, in ultima istanza, riesce almeno a far risultare simpatici i protagonisti di film d'azione come questo. Nulla.
Anche la regìa, o forse e più propriamente il montaggio, lasciano fortemente a desiderare: gli action movie possono non piacere, ma di certo girare e rimontare a regola d'arte alcune scene particolarmente movimentate e caotiche non è cosa da tutti. In questo film, quando l'adrenalina cerca di salire, risulta spesso difficile trovare dei punti di riferimento (intendo banalmente distinguere il sopra dal sotto, la destra dalla sinistra...insomma da dove arriva il pericolo!?!): ciò dà presto origine ad un senso di claustrofobia e disorientamento veramente troppo spiacevoli -quel formicolio tipico del "mi alzo ed esco dalla sala"/"cambio canale"/"chiudo il player" che poco ha a che vedere con l'intenzione del regista di trasmetterci delle sensazioni, ed è più che altro connesso con l'incapacità di trasmettercele nel modo corretto.
Unica consolazione: il quasi certo sequel, cui il prevedibilissimo finale presta benevolmente il fianco, avrà ben poco da rovinare.

Voto:




lunedì 23 agosto 2010

L'uomo che fissa le capre


Anno: 2009
Regia: Grant Heslov
Interpreti: Ewan McGregor, George Clooney, Jeff Bridges, Kevin Spacey

Fallito il suo matrimonio, un disperato e neppure troppo affermato reporter (Ewan Mc Gregor) parte per il Medio Oriente alla ricerca dello scoop della vita, per dimostrare a sua moglie, al mondo ed a se stesso di non essere un fallito. Si imbatterà casualmente in Lyn Cassidy (George Clooney), il quale milita in un reparto tutto particolare dell'esercito degli Stati Uniti e che gli consentirà di unirsi a lui in una missione davvero speciale...
Solitamente, quando mi imbatto in un film dal titolo bizzarro come questo ed ammesso che la produzione sia straniera, la primissima cosa che faccio è andare a documentarmi sul titolo originale: alcuni distributori italiani, in tema di traduzioni, ne hanno veramente combinate di cotte e di crude (...et Dieu creà la femme...). Stavolta, avendo visto il film "in trasferta" ed inaspettatamente, non ho potuto effettuare il mio consueto title check, approcciando la pellicola solo con quella manciata di sparute informazioni di partenza relative a regia, cast (quest'ultimo di altissimo livello, a dire la verità) e titolo, per l'appunto...ma perché partire proprio da qui per recensire un film del genere? Semplicemente perché il primo commento che mi viene da fare è che "L'uomo che fissa le capre" è un film che rispecchia al 100% il suo titolo: bizzarro, abbiamo detto, nonché curioso, stimolante e simpatico.
La trama è ricca di spunti interessanti a seconda dei punti di vista sotto i quali la si vuole vedere; tali poliedrici punti di vista diventano però lama a doppio taglio nel momento in cui si introducono temi ed idee connessi a tradizioni profonde e culture rivoluzionarie, le quali per forza di cose non possono e non potranno mai essere trattate in modo sufficientemente rispettoso nell'ambito di quella che, in fin dei conti, altro non è che una commediola hollywoodiana.
Nonostante le sottili critiche alla civiltà occidentale ed al governo degli Stati Uniti ed il contemporaneo occhiolino strizzato alle filosofie orientali ed al filone New Age, il regista sembra decidere di rimanere alla superficie delle cose, e volendo giudicarne la superficie, "L'uomo che fissa le capre" rimane un film divertente, ben girato e ben interpretato da un cast stellare (Jeff Bridges e Kevin Spacey, oltre ai già citati Mc Gregor e Clooney). Alcune gag veramente divertenti ricordano i migliori Cohen -forse per la presenza dello stesso Bridges. Per il resto, meglio non stare ad arrovellarsi su meta-significati reali o presunti del film: sarebbe mera interpretazione personale.
A proposito: il titolo originale è "The men who stare at goats"...100% come il suo titolo.
Consigliato per una serata in compagnia, leggera ma non troppo.

Voto:



venerdì 6 agosto 2010

Il Solista


Anno: 2009
Regia: Joe Wright
Interpreti: Robert Downey Jr., Jamie Foxx

Ci sono volte in cui si va al cinema perché si vuole vedere proprio quel film...altre volte invece si va a vedere un film solo perché si ha proprio voglia di andare al cinema. In quest'ultimo caso, cedere alla tentazione può portare a volte gradevoli sorprese, mentre in altre occasioni può rivelarsi deleterio per l'umore della serata e per il portafogli...ebbene, lo ammetto: scegliere "Il Solista", unico titolo papabile nella programmazione della mia città, a cavallo tra il Luglio e l'Agosto di un anno già di per sé cinematograficamente avaro come il 2010, è stato gesto quantomeno ardito. Mi sembra doveroso fare mea culpa perché, nonostante il tema dell'opera puzzasse d'americanata veramente da mooolto lontano, ho comunque voluto dare più retta alla nostalgia da grande schermo più che al mio istinto, e sono stato giustamente punito.
Il film è tratto da una vicenda vera al 100% e successa recentemente, quando il giornalista dell'LA Times Steve Lopez, alla ricerca di una storia, si è imbattuto nel suonatore di strada Nathaniel Anthony Ayers: incuriosito dal suo aspetto ed affascinato dalla sua musica, il giornalista ha voluto conoscere meglio il passato del musicista, raccontandolo contemporaneamente nella sua rubrica. Da qui, la vicenda ruota attorno alla malattia mentale di Ayers, che l'ha spinto ad abbandonare le sue ambizioni di musicista classico ed a "rifugiarsi" nella strada, alla sua passione per la musica, al goffo tentativo di Lopez di aiutarlo in un modo troppo superficiale prima, un po' più profondo ed empatico, almeno secondo quelle che sarebbero le intenzioni del film, poi.
Ok, storia interessante e possibilmente affascinante. Il problema sta in tutto il resto.
La narrazione è sempre superficiale e bidimensionale in tutti gli aspetti che tratta, sia quelli principali (schizofrenia, senzatetto, iniziale "scopo di lucro" del giornalista che dovrebbe trasformarsi lentamente in qualcos'altro) che secondari (la magia della musica, l'impatto di una storia del genere sull'opinione pubblica, alcuni dettagli della vita di Lopez prima e dopo Ayers); i tempi sono spesso sproporzionati ed alcune scene decisamente troppo lunghe; certi tentativi di avvicinarsi al cinema d'autore con carrellate metropolitane o giochi formali sulle note del povero "Ludovico Van", che ormai definirei tristemente exploited, fanno accapponare la pelle (e non in senso positivo).
Mi sento di salvare soltanto l'interpretazione dei protagonisti (sufficiente comunque, non di più) ed una regia che, quando non si lascia andare a voli pindarici fuori dalla sua portata, si rivela comunque competente.
Di fronte al solito problemuccio connesso con la trasposizione di una storia vera su grande schermo, di cui già parlai nella primissima recensione del Cineovo, ben contento di riscontrare come l'opinione di chi è stato spettatore della vicenda dal vivo e non sul grande schermo sia vicina alla mia (se vi va leggete qua Kenneth Turan, collega di Lopez all'LA Times), prometto che d'ora in poi, quando sentirò odore di americanata, cercherò di tenermi bene alla larga.

Voto:






P.s.: se la storia vi ha allettato, magari date un'occhiata qui: la conferma che, oltre alla rubrica di Lopez ed al suo libro sul tema, di questo film non è che si sentisse proprio il bisogno.

martedì 3 agosto 2010

May


Anno: 2002
Regia: Lucky McKee
Interpreti: Angela Bettis, Jeremy Sisto, Anna Faris.

May è sola e disadattata. La sua vita è stata influenzata ed irrimediabilmente compromessa da un'infanzia traumatica, causata del complesso per un fortissimo strabismo e dagli errori dei suoi genitori. Ora ha un lavoro ed una vita apparentemente normali, ma in realtà la sua unica amica è una bambola rinchiusa in una teca, regalatale anni prima dalla madre. Innamoratasi di un ragazzo e delle sue mani, resterà ulteriormente traumatizzata riscontrando la propria difficoltà nel rapportarsi alle persone apparentemente attratte dalla sua stranezza, ma di fatto incapaci, ai suoi occhi, di accettarla. Non riuscendo a trovare un amico, May finirà per doverselo "creare" con le sue stesse mani...
Non si tratta di un horror convenzionale: le tematiche sottese sono molto più intime e complicate, ma vengono comunque affrontate secondo i registri caratteristici del genere, ovviamente insufficienti per un vero approfondimento (per esempio si intuisce soltanto la schizofrenia della protagonista, che oltre a parlare con una bambola sembra anche sentirne la voce). Il regista/autore preferisce rimanere sul piano del sanguinolento andante, su musiche, sequenze ed esplicite citazioni che hanno molto del periodo d'oro di Dario Argento. Ne esce una via di mezzo tra l'horror all'italiana ed il thriller psicologico (anche se la tensione rimane sempre sotto i livelli di guardia) che rischia di non lasciare soddisfatta nessuna particolare fetta di pubblico, se non qualche cinefilo amante di particolari variazioni sul tema.
C'è da dire comunque che alcune scene sono ottimamente girate -sempre secondo i canoni horror- e che la recitazione della protagonista, seppur qua e là un po' caricaturale, è certamente di buon livello.
Nota a parte merita una delle scene di "abbordaggio" più geniali della storia del cinema:

Lui, sconosciuto, si siede accanto a lei su una panchina alla fermata dell'autobus.
"Ciao"
...
"Senti, ti andrebbe di mangiare insieme delle caramelle gommose?"
[stacco]
Lui seduto su un letto che consuma caramelle famelico.
"Cazzo vivrei di questa roba, giuro".


Sublime. ;)


Voto:


giovedì 29 luglio 2010

Il Profeta

Anno: 2009
Regia: Jacques Audiard
Interpreti: Tahar Rahim

Prima di andare a vederlo, leggendo qua e là di questo film, ho avuto come la sensazione che si trattasse dell'ormai classica storiella romanzata del cattivo-più-fico-del-mondo che parte dal nulla e che pian piano diventa "qualcuno": tale filone ritengo abbia ormai perso d'interesse già da "qualche" lustro, soprattutto da quando ai ritratti delinquenziali spesso ironici e di tanto in tanto giocosamente leggeri di un certo Scorsese, si sono aggiunti troppi tentativi di emulazione che, al contrario, prendendosi troppo sul serio hanno finito spesso per scadere nel ridicolo.
Errore mio.
Fin dai primissimi fotogrammi si intuisce che "Il Profeta" è diverso, anche se in un modo difficilmente definibile...è una sensazione strana: presente quando si dice che nei film si vede la violenza perché è la realtà stessa ad essere violenta? Ecco, io ritengo tale affermazione di un qualunquismo schifosamente superficiale, teso a giustificare qualsiasi porcata passi su uno schermo cinematografico, partendo da certe forme di iperrealismo fine a se stesso fino ad arrivare ad action-movie di bassa lega, farciti di atrocità-crimini-torture che più finti non si può...questo film è diverso perché riesce ad essere realista senza imboccare la facile scorciatoia del mero realismo: Audiard è secondo me eccezionale nel conservarsi quei piccoli spazi espressivi (sia a livello narrativo che visivo) che una rappresentazione nuda e cruda della realtà altrimenti non concederebbe, eppure riesce a farlo senza mai deragliare nel "romanzesco". Molti sarebbero in grado di estrapolare da uno studio di ben 4 anni sulle dinamiche sociali carcerarie un film d'impatto e di denuncia come questo; pochi, secondo me, sarebbero in grado di farlo così.
I personaggi principali, tutti, bucano lo schermo; il protagonista Malik semplicemente esiste. La narrazione, seppur concedendosi ampie pause e rallentamenti (150' per un film rimangono una durata "importante"!) riesce, nel complesso, a coinvolgere. Ho inoltre apprezzato la tetra e decisamente fredda fotografia -del resto la storia si svolge per gran parte all'interno di un carcere- e la verosimiglianza volutamente curata nelle scene di violenza, particolare che contribuisce a mantenere l'opera non contaminata dai fastidiosi cliché cui ho fatto cenno in apertura. Unica pecca forse la totale mancanza di momenti introspettivi, una mancanza che comunque ci sta alla grande: enorme sarebbe stato il rischio, visto il tema dell'opera, di scadere nella retorica...probabilmente il regista non ha voluto osare ed io mi sento di dargli ragione: il gioco non sarebbe valso la candela.
Nel complesso ritengo "Il Profeta" decisamente un bel film, uno dei più belli visti al cinema negli ultimi anni.

Voto:


sabato 10 luglio 2010

L'Esercito delle 12 Scimmie

Anno: 1995
Regia: Terry Gilliam
Interpreti: Bruce Willis, Brad Pitt

Nel 2035 la superficie terrestre è inabitabile ed inabitata; l’Uomo si è rifugiato sottoterra, ed i “buoni” spediscono in superficie delinquenti e reietti. Uno di questi è James Cole (Bruce Willis), che in cambio della sperata grazia, viene mandato periodicamente in missione per raccogliere prove, campioni, indizi sul passato: lo scopo è quello di reperire il virus originale che ha causato la quasi estinzione della specie umana e creare un antidoto. Le missioni però non prevedono soltanto spostamenti nello spazio, ma anche nel tempo, in epoche immediatamente precedenti o successive al contagio (anni ’90): durante questi viaggi il tormentato Cole si scontrerà con inquietanti verità sul passato, ma anche su se stesso.
Più di una volta ho espresso l’opinione che la grandezza di un film può viaggiare tranquillamente su binari paralleli rispetto alla qualità della storia che racconta. La trama di “12 Monkeys”, di per sé, non brilla particolarmente per l’originalità delle sue premesse, ambientazioni o tematiche, eppure ritengo semplicemente geniale il modo in cui essa è stata decomposta prima e restituita allo spettatore poi, quale risoluzione di un puzzle misterioso ed affascinante, disseminato qua e là di indizi apparentemente incomprensibili, destinati tutti a finire progressivamente ed inevitabilmente al proprio posto.
Aggiungendo al merito degli sceneggiatori una regia di altissimo livello come quella del visionario dei Monty Python e le interpretazioni decisamente all’altezza di Bruce Willis e di un giovane Brad Pitt (il primo sveste egregiamente i panni del duro ed il secondo è un ottimo schizofrenico), si è ottenuto un risultato veramente pregevole.
Solitamente relego il classico e leggero film di fantascienza nella rubrica del “Cineghì”, ma ritengo che “L’Esercito delle 12 scimmie” abbia decisamente qualcosa di più!

Voto:

mercoledì 16 giugno 2010

Rosemary's Baby


Anno: 1968
Regia: Roman Polanski
Interpreti: Mia Farrow, John Cassavetes, Ruth Gordon.

Avrei voluto vedere Rosemary's Baby al cinema, nel 1968.
Il motivo è molto semplice ed è la trama, che per un giovanotto cresciuto negli anni '80/'90 a pane e film horror, sa troppo, ma veramente troppo di già visto. Per non parlare di un finale semplicemente stucchevole nel senso più dispregiativo del termine (anche se mi rendo conto che trattasi di giudizio, quest'ultimo, del tutto soggettivo).
Fortunatamente questo film è molto di più della storia di una giovane coppia che si trasferisce in un appartamento maledetto, nonché di un thriller giocato sull'ambiguità dei suoi personaggi protagonisti e secondari. La regia è assolutamente magistrale (ma qui scopro l'acqua calda...) e l'interpretazione degli attori principali sempre all'altezza -Mia Farrow super, Ruth Gordon forse ancora meglio: la sua Minnie Castevet è eccezionale!
Ciò che ho apprezzato di più, è però una gestione della tensione tutta personale da parte di Polanski: o meglio, quel suo annullare completamente qualsiasi senso di timore/angoscia che le tematiche del film dovrebbero sottendere, col risultato d'incollare lo spettatore (o almeno il sottoscritto) alla poltrona, al progressivo crescere di un'ambiguità quasi fastidiosa.
Certi sogni e visioni, più o meno reali, della protagonista, hanno infine un sapore fortemente pre-lynchano che non ho potuto fare altro che apprezzare.
Oltre l'aspetto puramente narrativo, Rosemary's baby è dunque un classico assolutamente consigliabile.

Voto:



lunedì 7 giugno 2010

Secretary



Anno: 2002.
Regia: Steven Shainberg.
Interpreti: Maggie Gyllenhaal, James Spader.

Di zapping in zapping, mi imbatto in una notte insonne in "Secretary", titolo che proprio non mi dice niente. Decido di dargli una chance, più che altro per non dovermi arrendere a qualche odiosa replica di un telefilm anni '80, e rimango di sasso, inchiodata davanti alla tv.
In un ufficio meraviglioso, più simile a un atelier di moda, un "incravattatissimo" avvocato tempesta di sadiche attenzioni l'introversa quanto sciatta segretaria, la quale in virtù di certi suoi squilibri psichici accetta in silenzio le di lui vessazioni. Nonostante questo, tra i due nasce una sorta di perversa complicità emotiva che li tiene incollati l'uno all'altra, in bilico tra desiderio, repulsione e incomprensione, fino a quando finalmente non vengono travolti da un non poi tanto platonico amore tra schiava e padrone, da entrambi celato ad arte. La metafora è semplicissima, ma molto potente: l'amore è assoluto e può manifestarsi in ogni forma, salvando dalla solitudine anche chiunque si senta diverso nella propria sessualità.
Il resto della trama non la dico, perchè questa commedietta ve la dovete guardare, se sapete reggere una generosa dose di humor nerissimo: non solo è ben recitata, grazie soprattutto a una Maggie Gyllenhaal superlativa, e ben diretta sia tecnicamente che dal punto di vista estetico, ma è soprattutto divertente, senza essere (troppo) volgare.
Unica critica che posso alzare a "Secretary" è che banalizza in maniera molto grossolana il problema dell'autolesionismo, non approfondendolo minimamente nel personaggio di "Lee" e trattandolo superficilmente quasi alla stregua di una predisposizione al masochismo.
Per il resto, film consigliatissimo.


Voto:





venerdì 28 maggio 2010

Copia Conforme


Anno: 2010.
Regia: Abbas Kiarostami.
Interpreti: Juliette Binoche, William Shimell, Adrian Moore.

Un affascinante studioso d'arte incontra una gallerista bella come Juliette Binoche alla presentazione del proprio ultimo libro, "Copia Conforme" per l'appunto. I due decidono di passare il giorno seguente insieme e qui in sostanza finisce il plot del film: la restante oretta e mezza di visione è tutta improntata sulle discussioni, a dir la verità sempre sotto tono e sul banalotto andante, tra i protagonisti. Chiave di lettura di questa storia: l'incomunicabilità tra uomo e donna, la difficoltà nella crescita comune dei membri di una coppia, la relazione tra copia e originale sia nell'arte che nella vita, tant'è che non ci è dato di capire davvero quale metà del film sia vera, se quella in cui i protagonisti sono sconosciuti o quella in cui sono sposati.
Insomma, uno zuppone pseudo-psicologico senza trama in cui vorrebbe farla da padrone la cura d'estetica dell'immagine ma che non ci riesce, perchè fa troppo affidamento sulla stra sfruttata bellezza del paesaggio toscano. Interessantissimi, però, i continui giochi di luce e riflesso con cui la telecamera riesce ottimamente a giocare.
Sublime (come sempre direi) la recitazione della Binoche, che si è aggiudicata grazie a questo film una Palma a Cannes; molto buona, ma non all'altezza della partner, quella del baritono William Shimell.
Che dire? Promosso per un pelo, ma solo grazie ad alcune delizie tecniche e alla buona rosa di attori.


Voto:




martedì 25 maggio 2010

Almost famous

Anno: 2000.
Regia: Cameron Crowe.
Interpreti: Patrick Fugit, Kate Hudson, Billy Crudup, Frances McDormand.

Un ragazzetto del liceo, votato a non si sa quale santo in Paradiso, riesce a diventare inviato della mitica "Rolling Stone" per scrivere una prima pagina sulla band emergente "Stillwater": accodatosi al di questa entourage, si lascia alle spalle la madre iperprotettiva e la cerimonia del diploma, diventando testimone oculare di quella che, secondo Crowe, è stata l'agonia del rock. Groopie sfacciatamente romantiche nonostante un atteggiarsi cinico, alcool, droga, soldi, competizione, tradimento e qualunquismo vengono timidamente notati e criticati dal giovane William, sempre confuso da quel caos di ragazze e chitarre, ma che riesce persino ad arricchirsi in quest'esperienza così potenzialmente distruttiva.
"Almost famous" brilla per l'eccelsa colonna sonora anni '70, anche se, per la verità, i pezzi inventati ad hoc per gli inesistenti "Stillwater" hanno poco da invidiare in quanto a bellezza a quelli originali.
Ottimamente recitato, ben diretto, anche se a mio parere è un po' limitato da quella dilatazione temporale che soffro nella regia di Spielberg (non credo a caso, visto che è produttore di questo film), da un finale vagamente retorico e da una cicciuta edulcorazione sullo zeitgeist degli anni '70.
Interessante il punto di vista della narrazione, in mano a un critico ragazzino, piuttosto che a quello stra trito della band emergente che lotta per realizzare un sogno. Aggiungo che la storia è autobiografica (che invidia!), ricalcando molti eventi personali di Crowe, compresa la scena pazzesca ad alta quota con turbolenza.
Promosso con lode.


Voto:



venerdì 7 maggio 2010

Hostel

Anno: 2006.
Regia: Eli Roth.
Interpreti: Jay Hernandez, Eythor Gudjonsson, Derek Richardson.

Due sbarbatelli partono dal college per un eccitante viaggio zaino in spalla nel vecchio continente, ben decisi alla ricerca di signorine dai decollete prorompenti e drogucce mescaline, accompagnati dall'amico islandese incontrato sulla strada. Ingolositi dai racconti a luci rosse di un giovane russo conosciuto per caso, decidono di partire per un paesino sperduto slovacco, dove si dice ci sia un ostello frequentato da meravigliose quanto disponibili ragazze. Qui il giro di boa tipico dell'horror che inizia spensierato: il terzetto resta vittima di una specie di loggia massonica dedita al culto dell'omicidio per divertimento, con tanto di torture rivoltanti e sanguinarie.
Film dalla regia "testosteronica", zeppo nella prima metà di scene di ragazze semi-nude e nell'altra metà di sequenze che vorrebbero essere splatter ma che sono in realtà solo rivoltanti. Terribili gli "effetti speciali" che danno l'illusione della macellazione di un corpo, fatti con cera colorata o similaria, decisamente al livello di un filmetto girato da un neofita a budget limitato. Ridicole le scene di tortura, o perchè girate male o perchè supportate da un'anatomia corporea impossibile. Banale la struttura della narrazione, che ricalca in pieno quella trita e ritrita del classico horror. Sbagliato il tempo narrativo registico, che riesce a non mettere ansia allo spettatore.
Insomma, uno dei film peggio fatti che ho mai visto, che vanta solo la produzione illustre, di sua eccellenza Quentin Tarantino..c'è da chiedersi per quale folle motivazione abbia sponsorizzato questo (meritato) flop.


Voto:


mercoledì 28 aprile 2010

I figli degli uomini

Anno: 2006.
Regia: Alfonso Cuaròn.
Interpreti: Clive Owen, Julianne Moore, Michael Caine.

Il 2027 è caos: guerre civili, degrado, miseria, violenza.
L'umanità è però afflitta da una piaga ancor più preoccupante: un male misterioso ha causato l'infertilità dell'intera popolazione femminile e la specie sembra destinata all'estinzione...da 18 anni non nascono più bambini. In tale apocalittico scenario, l'ex attivista politico Theo (un bravissimo Clive Owen), si troverà a dover gestire una faccenda a dir poco complicata, dovendo procurare un lasciapassare -le frontiere inglesi sono ormai blindate- per Kee, un'immigrata davvero speciale...
Fermandomi qui nel racconto della trama al fine di evitare spoiler, posso solo aggiungere che "I figli degli uomini" è un film assolutamente riuscito, a tratti stupefacente, soprattutto nel delineamento più che mai accurato di un futuro degenere, e soprattutto nella caratterizzazione dei suoi personaggi principali.
Cuaròn dirige un cast di spessore assoluto che mai lo tradisce, e si diverte di tanto in tanto ad infilare nella narrazione piccole perle di tecnica registica che aiutano a creare momenti di palpabile emozione (tensione, sgomento, dolcezza, speranza, assenza di speranza, speranza...). Quel tragitto in auto verso "L'arca delle arti" sulle note di "In the Court of the Crimson King" è infine una chicca.
Forse ad affossare gli incassi italiani di questo film ci ha pensato soprattutto un trailer che, assolutamente non all'altezza, fa annusare pellicola di tutt'altro livello...meccanismo stranamente invertito rispetto al solito.
NON guardate il trailer di "Children of men", guardate assolutamente "Children of men"!

Voto: