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mercoledì 21 ottobre 2009

Ultimo tango a Parigi

Anno: 1972.
Regia: Bernardo Bertolucci.
Interpreti: Marlon Brando; Maria Schneider; Jean-Pierre Léaud.

Su questo film credo che potrei scrivere un libro, tante sono le scene esteticamente perfette contenute, tanto sorprendente e spontanea è qui la recitazione del DivinoMarlon, tante scelte registiche ho amato con un godimento sottile, quasi fisico.
Il protagonista ha le fattezze di un affascinante uomo decadente, ma è in realtà un animale ferito che carambola per le vie di Parigi, sopravvivendo su quella linea che separa la disperazione dal nulla, in una maniera a dir poco violenta e insieme meravigliosa.
Ciò che Bertolucci riesce a rendere fisicamente percepibile ai nostri occhi, nel dipanarsi del personaggio, è un delirio di Solitudine, Dolore, fisicità, lussuria, Rabbia e Potere: in un'espressione, tutto ciò che può mantenere al confine della vita l'animale morente. Un gioco di inquadrature, colori, ritmo e luci costruisce un universo sensoriale dipinto di una bellezza mai superficiale, una poesia in movimento che riesce a evocare distintamente il Dolore dell'Uomo, fatto dal gusto metallico del sangue, di un silenzio che si scatena in isteria, di strade cupe che risuonano tristezze e miseria.
Una scena per tutte: quella finale, di morte, dove regia e recitazione si uniscono a creare un momento perfetto.
L'animale ferito ha scelto la vita, e la cerca nell'unico modo in cui la sa cercare: dandole la caccia. Una caccia che si esaurisce in un appartamento pieno di ricordi, nel quale Lei, l'anima innocente che con la sua leggerezza ha lenito ferite troppo vecchie, estrae una pistola.
Uno sparo fuso a un nome di donna: lui, incredulo, barcolla sul balcone e, agonizzante, guarda l'infinito dei tetti di Parigi, impaurito, liberato, consapevole di una morte che in realtà è una condanna alla negazione della Vita, alla disperata solitudine, per lui così come per l'Uomo.
L'esatto momento in cui gli occhi di Marlon Brando diventano atoni, un capolavoro di recitazione, è per me la fine del film, ma il regista ci concede una sorta di piccolo epilogo, qualche secondo di girato, che forse è necessario, per ricomporci dalla stretta emotiva di una delle scene di morte più belle mai scritte nella storia del cinema.


Voto:



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