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domenica 10 gennaio 2010

A Serious Man


Anno: 2009
Regia: Joel & Ethan Coen
Interpreti: Michael Stuhlbarg

Diciamoci la verità: hanno un po' rotto.
Va bene che sto recensendo a caldo, reduce da una serata di pioggia battente nella quale, non sapendo dove andare a parare, mi sono rifugiato speranzoso in un cinema. Va bene che, queste righe, potrebbero essere solo figlie dell'irritazione data dal sentore di aver buttato via otto euro e quasi due ore della mia vita che sotto quella stessa pioggia battente avrei preferito, a questo punto, trascorrere...NUDO...va bene tutto.
"A Serious Man" è un film orrendo.
Questa volta non me la sento di difendere i fratelli Coen: non me la sento di sostenere l'antica tesi (che nel loro caso va sempre bene) secondo la quale, se un regista vuole disorientarti ed irritarti e ci riesce perfettamente, allora è stato bravo e merita un pollice up; non me la sento neanche di sforzarmi per mettere in moto quel meccanismo di riflessione che disorientamento ed irritazione dovrebbero generare, portando a "scoprire" il significato più profondo, vero o presunto, dell'opera; nemmeno me la sento di salvarmi in corner -parlando di significati- col buon vecchio "il senso è che la vita non ha senso, ed allora che tu sia buono o cattivo, credente o non credente, serio o faceto, quel che arriva arriva e va bene così". Proprio non me la sento.
Oppure occhei: diamo per scontato che tutto quanto detto sopra ci possa stare -sono ormai decenni che i Coen ribadiscono il concetto...va bene, l'abbiamo capito. Ma qualcosa di nuovo mai eh?
Di questo film non salvo la maestria registica che dei fratelli ho sempre apprezzato, semplicemente perché, oltre a rimanere schiava di quello stesso nulla che si è scelto di rappresentare, stavolta essa non emoziona mai e non è mai particolarmente caratterizzante né coinvolgente. Non salvo le gag così tipiche (vedi: "denti del non ebreo") ed i personaggi bizzarri, perché il mediocre che li circonda finisce per fagocitarli miseramente facendoli scomparire (eppure quello studente sud-coreano è semplicemente un mito!). Aborro il prologo di puro autocompiacimento, che ti fa arrovellare sul suo significato simbolico fino a quando, il giorno dopo, gironzolando per la rete scopri che non ha nessun collegamento né con la trama né tanto meno con "quello che si voleva dire".
Me ne infischio dei fiumi di parole adulanti che, riguardo a quest'opera, scorrono fra giornali e siti internet : io la boccio in toto e mai le darò una seconda possibilità, anzi, spero di scordarmi della sua esistenza entro subito. Perché sono arrabbiato.

Voto:


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