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sabato 13 marzo 2010

Il nastro bianco


Anno: 2009
Regia: Michael Haneke
Interpreti: Susanne Lothar, Ulrich Tukur.

Appena conclusa la visione di un film, non sempre si è del tutto in grado di mettere a fuoco le impressioni da esso suscitate ed a commentarlo lucidamente: certe volte è meglio aspettare, far decantare le "reazioni a caldo" e lasciare che il tempo faccia affiorare, tra i ricordi, ciò che veramente si ritiene di avere da dire.
Ho visto "Il nastro bianco" ormai qualche mese fa, al cinema, e la prima considerazione che mi sovviene è che sicuramente è stato meglio così. Mi spiego: ricordo una fotografia straordinaria, con un bianco e nero da brivido che sicuramente la visione domestica penalizzerebbe notevolmente.
Ricordo anche una regìa sicuramente capace, ma caratterizzata da scelte stilistiche figlie della ferma volontà dell'autore di rimanere sul piano di un'asettica e fredda "descrittività" (com'era già stato, per Haneke, in "Funny Games"): scelte che, a lungo andare, ritengo possano risultare piuttosto discutibili, soprattutto alla luce della tematica etica piuttosto "cicciuta" che si è decisa di descrivere appunto, più che affrontare. Di quest'opera, infatti, mi è rimasta soprattutto la descrizione di un male imperante: nei bambini, negli adulti, nelle convenzioni sociali, nel potere laico ed in quello religioso. Da tali premesse, dunque, diventa palpabile il rischio di generare nello spettatore un loop continuo d'interrogativi piuttosto stizziti (...ma perché mi mostri questo? ...e perché così, gratuitamente? ...ma tu da che parte stai? ...e soprattutto: dove vuoi arrivare?)...e se pensiamo che molte delle risposte a questi interrogativi non sono rintracciabili nell'opera, ma soltanto (e neanche completamente) nelle dichiarazioni che il regista ha rilasciato a proposito di essa, beh allora capiamo come il senso di stizza ed insoddisfazione possa diventare, oltre che possibile, più che legittimo.
Narrativamente parlando, il film gioca sul mistero iniziale creatosi attorno ad alcuni fatti di cronaca che avvengono in un piccolo villaggio nel nord della Germania, nel 1914: l'appetito dello spettatore viene così stuzzicato con una suspence che ben presto si rivela volutamente accessoria e poco coinvolgente, mentre l'opera vira su denunce più o meno esplicite di un certo tipo di cultura, di educazione, di un sostrato sociale in cui, a detta del regista stesso, si anniderebbe il seme che di lì a poco darà vita al mostro del Nazismo.
Bei momenti di regìa e magnifiche inquadrature a parte, se questo è il significato profondo dell'opera, con tutta la modestia del caso, direi che la Palma d'Oro sembra quantomeno eccessiva.

Voto:



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